Intervista esclusiva a Serse Cosmi, ex allenatore di Perugia, Udinese e Genoa. Il suo ultimo incarico è stato al Crotone, in Serie B, fino al 2021 e attualmente è svincolato.
Iniziamo con il chiederle qual è il suo futuro prossimo come allenatore, se sta vagliando delle offerte o se è in cerca di un progetto ben preciso?
Il futuro, non mio ma di ogni allenatore, non dipende da noi stessi ma dagli altri. Io vorrei allenare e questa è la cosa più importante perché ancora mi piace farlo e mi sento forte per poter vivere questo mestiere che con il tempo può diventare faticoso ma per ora la fatica non la vivo. Il mio obiettivo, dunque, è quello di tornare ad allenare il prima possibile e vorrei farlo in un contesto meno complicato delle avventure che ho vissuto ultimamente.
Facciamo un tuffo nel passato, vogliamo ricordare il momento in cui raggiunse l’apice della sua carriera sfidando il Barcellona di Messi in Champions League, quando allenava l’Udinese. Che ricordo ha di quella gara?
Partiamo da un concetto importante, ho iniziato ad allenare in Serie A dal 2000, il calcio ovviamente è molto cambiato rispetto a quello che c’è ora, soprattutto intorno al calcio dove le figure sono molte di più e di conseguenza anche le dinamiche.
Oggi per un allenatore far bene 6 mesi in Serie A significa poter aspirare ad una big, prima bisognava lavorare anni e anni per una squadra che lottava per la salvezza per poi diventare un allenatore di media classifica e ambire ad una di grande livello. Dunque, prima era molto più complicato, però dopo quei 4 anni a Perugia ho avuto la possibilità di andare in una grande squadra e ho avuto la convinzione che potesse essere la volta giusta, poi tutto è rimasto un sogno.
Dopo sono andato a Genoa, a Udine e ho vissuto comunque in società importante ma la grande squadra è svanita dopo quei 4 anni a Perugia. Se oggi fossi un allenatore di Serie A esordiente, facendo un quarto di quello che ho fatto a Perugia, sicuramente allenerei una grande squadra.
Nel corso della sua lunga carriera è mai stato ad un passo dal firmare un contratto con una big?
Partiamo dalle cose positive, avendo talmente tanta rabbia ed entusiasmo vivi l’avventura mettendoci tutto te stesso dentro, cuore e cervello, però il nostro mestiere è fatto di tempo e conoscenza e arrivando a stagione in corso conosci relativamente i calciatori e l’ambiente e quindi è sempre molto complicato riuscire a capire dove ti trovi. A volte è meno difficile di quello che pensi in altre è molto complicato. Poi se arrivi in una squadra che lotta per la salvezza, subentrano aspetti psicologici ancora più difficili.
Negli ultimi anni è quasi sempre subentrato a stagione in corso, quali sono le difficoltà per un allenatore e quali crede siano stati i motivi?
Quello è l’apice da un punto di vista professionale ma credo che il mio apice sia stato vincere il campionato dilettanti con la squadra del mio paese, vincere per la prima volta a San Siro contro il Milan, vincere campionati ad Arezzo. In genere si fa riferimento ai successi di allenatore intesi come massima espressione invece nel nostro mestiere per fortuna una vittoria, anche nel campionato dilettante, assume lo stesso significato di vincere lo scudetto.
Quella con l’Udinese è stata in assoluto un’esperienza incredibile, mai avrei pensato qualche anno prima di allenare una squadra in Champions League ed entrare da protagonista in uno stadioo mitologico come quello di Barcellona. Diciamo che lì mi sono passate davanti tante cose della mia vita, non solo professionali ma anche personali. E’ stata un’esperienza meravigliosa vivere quel palcoscenico.
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Secondo lei, perché in Italia i giovani fanno fatica ad emergere, a differenza magari dei primi anni 2000 quando, tra l’altro, il livello del nostro calcio era più alto.
Perché ho una convinzione, che allenatori giovani debbano essere allenati da allenatori esperti. Per assurdo l’allenatore giovane è meno incline a valorizzare i giovani. Io più andavo avanti e più avevo voglia di mettere in campo ragazzi giovanissimi in prima squadra. Poi qui in Italia, il concetto di giovani è completamente diverso, rispetto ad altri paesi: da noi è giovane ancor il calciatore di 22 anni mentre in altri campionati a 18 anni sono già titolari. Poi, ovviamente nel 2000 la primavera era formata da due o tre ragazzini stranieri, ora è il contrario.
Qual è il giocatore che avrebbe voluto allenare nel corso della sua carriera?
Italiano, senza dubbio, Totti. Straniero Ronaldinho.
Cosa ne pensa, invece, di Messias che ha allenato nella scorsa stagione?
Mi ero sbilanciato, attirando l’ironia di molti, dicendo che era un calciatore che poteva giocare tra le prime 8 del campionato di Serie A. Non mi sbagliavo. Fortunatamente l’ha preso il Milan, poi ha avuto un infortunio per due mesi e quando è entrato ha dimostrato di poter stare tranquillamente in quella realtà. Se paragoniamo Messias a Kakà diciamo una stupidaggine anche data l’età però lui ha tutto, sia capacità tecniche che mentali, è un ragazzo molto in gamba e quindi sono contento che abbia dimostrato di poterci stare perchè se lo meritava. Poi la sua è una storia molto romanzata e in un calcio raccontato esclusivamente attraverso le statistiche, fa piacere ancora fare riferimento a questi aspetti.
Da tifoso della Roma, le chiediamo qual è la sua opinione riguardo all’attuale allenatore José Mourinho che, tra l’altro, in passato, ha potuto conoscere come avversario?
Mourinho è Mourinho. E’ unico, non credo che ci siano, in alcuni aspetti della sua personalità, allenatori che possano somigliarli come non possono somigliare a Guardiola o a Klopp. Il problema è quando alcuni allenatori vogliono essere Mourinho e vanno incontro a delle situazioni veramente ridicole. Credo che sia un ottimo allenatore, sento dire su di lui dei concetti astrusi come chi dice che sia un grande comunicatore ma un allenatore normale da un punto di vista tecnico, io credo che un allenatore debba essere bravo in tutte le componenti e credo che lui lo sia. Non è mai banale, è un uomo che ammiro e che ha dato tanto a noi allenatori.
Adesso passiamo ad una domanda leggera che non riguarda prettamente l’ambito calcistico, cosa direbbe al suo imitatore Maurizio Crozza?
Con Maurizio siamo diventati amici anche se ultimamente ci siamo visti pochissimo. Essere suo amico e quindi, di conseguenza, ridere di se stessi è stata un’esperienza bellissima ma che tornassi indietro non rifarei perchè il mio mestiere era quello di fare l’allenatore, pensavo che ironizzare su se stessi potesse essere un qualcosa in più ma che non compromettesse il proprio mestiere. Sono stato molto popolare attraverso Maurizio però poi sono stato ostaggio di quel personaggio e purtroppo si è cercato sempre di vedere di più il liverare “ti spezzo la gamba” piuttosto che l’allenatore e questo, nel lungo lasso di tempo, mi ha penalizzato tantissimo. Tuttavia, mi sono divertito in quel periodo ed era ciò che credevo di poter fare.
Torniamo al mondo del calcio, le faccio ora una domanda d’attualità: in riferimento al campionato in corso qual è la squadra favorita allo scudetto, secondo lei, e quale quella che l’ha sorpresa di più?
Ho sempre pensato che le squadre favorite fossero Inter, Napoli e Milan ed effettivamente in classifica si sono rivelate queste. Diciamo che la squadra che mi convinceva di più e che secondo me poteva vincerlo era il Napoli che quando si è espresso ad organico completo ha fatto veramente grandi cose.
L’Inter ha fatto esattamente quello che era in grado di fare, ha ovviamente una rosa per poter vincere il campionato. Inzaghi è stato protagonista in positivo, tutti dicono che allenare dopo Conte sia facile io invece credo che lavorare dopo allenatori che hanno fatto molto bene non sia assolutamente facile. Lui ha portato tanto di suo, un gioco alla lunga anche spettacolare.
Il Milan, secondo me, poteva essere più vicino all’Inter se avesse avuto l’organico al completo come ce l’hanno avuto loro quasi sempre in questa stagione.
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Chiudiamo la nostra intervista chiedendole se vuole raccontarci un aneddoto simpatico che le è accaduto e che ricorda con piacere, in tutti questi anni come allenatore?
Ho sempre considerato questo come il mestiere più bello e privilegiato che potesse capitarmi, anche sotto l’aspetto umano o economico però l’ho sempre vissuto con grande ironia e voglia di giocarci. Per questo, la mia vita professionale si è riempita di aneddoti, in alcuni casi anche paradossali, soprattutto nel periodo di Perugia considerando che il mio Presidente era Gaucci. Ad esempio, un giorno mi chiamò dicendomi che aveva preso un giocatore importantissimo: il suo nome era Gheddafi.
Gli dissi: ”Guardi Presidente, lei può portarlo tranquillamente ma non può dire che era un giocatore che volevo io”, era anche bravo ma non poteva, di certo, essere considerato un calciatore di Serie A. Dunque mi rifiutati di annunciare che era un giocatore che avevo voluto io. Dopo 5 minuti da questa telefonata, uscì un’Ansa in cui c’erano mie dichiarazioni che ero strafelice dell’arrivo di Ghedddafi. Immaginate i commenti di tanti miei amici e colleghi! Però dai, alla fine Gheddafi ha lavorato bene si è dimostrato un calciatore alla stregua degli altri.