Sadaf Khadem, prima pugile donna iraniana ad aver vinto un incontro, non può tornare a Teheran (suo paese d’origine) per aver trasgredito alle leggi che vietano alle donne il pugilato. La sua lotta prosegue fuori dal ring.
Si dice che i campioni non abbiano patria, perché grazie allo sport sono cittadini del mondo e patrimonio di tutti. Quasi sempre è così, ma c’è anche chi una patria ce l’ha e, nonostante il successo, è costretto a nascondersi: chiedere a Sadaf Kadhem, 24enne, donna e pugile che con il suo talento ha fatto ottenere un primo successo sul ring alla Repubblica degli Ayatollah.
Era lì che voleva tornare, per raccontare le sue gesta sportive e quelle del suo allenatore, Mahyar Monshipur, insieme hanno conquistato un importante traguardo battendo la 25enne francese Anne Chauvin. Se, normalmente, essere il primo pugile donna del proprio paese a vincere un titolo e un incontro meriterebbe una copertina, in Iran è oggetto di scherno. Emarginazione. Reato. Non si può salire sul ring, le donne poi dovrebbero avere indosso sempre e comunque un certo tipo di abbigliamento: trasgredirlo è illegale, Sadaf si è presa più rischi che applausi per inseguire un sogno. Il suo.
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Ora è rifugiata in Francia, ma spera di poter tornare a casa, a Teheran, per dimostrare che un altro mondo – una diversa prospettiva di vita – è possibile. A suon di pugni e fatica si è conquistata la libertà, che dista 350 km da Royan (nella città di Poitiers), e adesso non vuole perderla. Anche a costo di rinunciare – senza mai rinnegarle – alle proprie radici. Questo fanno gli eroi moderni, si battono per un ideale piuttosto che per un traguardo: “Voglio migliorare il più possibile e mostrare alle donne iraniane che possono salire sul ring”, parole – quelle di Sadaf – che colpiscono più di un gancio destro.