“Quando firmai il primo contratto da professionista avevo 16 anni, coronavo il sogno di giocare a calcio in Italia, ero al Torino. Tornai a casa e dissi a mio padre, un operaio manovale, che doveva licenziarsi. Papà d’ora in avanti penso io a te e alla mamma. Mia madre non ha voluto saperne e lavora ancora.
Mio papà ha pianto, mi ha dato retta, mi sono sentito un figlio“.
Inizia con questa profondità il racconto in ESCLUSIVA alla redazione di Sportnews.eu, del portiere del Teramo, Lys Gomis, 29 anni, nato a Cuneo, dal 2012 ha la cittadinanza italiana. I genitori cittadini senegalesi si erano trasferiti nel comune piemontese per lavoro. Lys è il più grande di tre fratelli, Alfred 25 anni è alla Spal, il più piccolo Maurice, di anni 21, gioca in Albania con l’FK Kukësi. Una tradizione familiare di numeri uno, papà Charles giocava estremo in Senegal.
12 anni al Torino, con in mezzo qualche prestito, dalla Serie A alla C, esperienze con Trapani, Frosinone, Lecce, Paganese infine il Teramo. “Ho scelto di giocare con la nazionale del Senegal come riconoscimento ai miei genitori, ma io mi sento e ragiono con la mentalità italiana”.
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Lys è a casa convalescente dopo l’intervento chirurgico al tendine rotuleo. Il tono della voce deciso, l’italiano perfetto, si sente subito che il tema del razzismo e di quanto accaduto all’amico Kean gli sta a cuore.
“Conosco Kean è un mio amico, così come Koulibaly. Parliamo di due ragazzi splendidi. Stavo vedendo la partita alla televisione e quello che hanno fatto a Moise è stato orribile. Dalla tv si sentivano chiaramente i fischi e i buu. Un accanimento inspiegabile”.
Per chi agisce in questo modo però è spiegabile?
“Certo. Si tratta di persone incoerenti. Sono gli stessi che se Kean segna con la nazionale esultano e fanno festa, poi quando gli fai goal da avversario ti insultano. Cagliari non è razzista. Si tratta di pochi individui che vanno isolati, anche dai tifosi perbene che gli sono di fianco”.
Esultanza provocatoria?
“Assolutamente no. Allora è come quando segna Piatek che fa il gesto della pistola dovresti sparargli. Oppure Bonucci che fa il gesto di sciacquarsi la bocca. Anche questi sono provocatori? Non scherziamo”.
Lei è dell’idea che in caso di cori e buu bisogna lasciare il campo o restare?
“Partiamo dal fatto che non bisogna minimizzare. Fare finta di nulla e continuare a giocare significa fargli capire che sono liberi di poterlo fare. Invece penso che al primo coro o insulto lo speaker debba avvisare il pubblico che all’offesa successiva il match sarà sospeso. Nella speranza che la gente vicina a queste persone le segnalino alla sicurezza per farle allontanare. Oggi ci sono le telecamere negli Stadi ed è facile riconoscere gli autori di questi gesti, vanno allontanati, non devono mai più entrare in un impianto. Abbandonare il campo è una sconfitta per tutti”.
Anche lei è stato vittima del razzismo?
“Si certo. A Brescia. Giocavo con il Trapani. Mi dissero di tutto: figlio di …, negro, tantissimi buu. Dissi all’arbitro se stava sentendo, rispose di si, continuammo a giocare. Io ho un carattere forte, cerco di isolarmi per non sentirli. Ma non è giusto. Così facciamo un passo indietro”.
Se fosse stato un compagno di Kean?
“Sono abituato a difendere i miei compagni sempre e comunque. Poi nello spogliatoio gli dico in faccio quello che penso. Ho apprezzato molto l’atteggiamento di Chiellini, da Capitano vero. Il compagno necessitava di sostegno e lo ha difeso“.
Come si combatte il razzismo?
“Si deve iniziare dalle scuole, dai ragazzi, bisogna far capire che siamo tutti uguali. Violenza e razzismo vanno fermati quanto prima. Io devo essere libero di andare allo stadio senza rischiare una coltellata fuori o far sentire a mio figlio, cori o ululati razzisti”.
Il Senegal è una di quelle zone dell’Africa dalla quale scappano molti suoi coetanei, donne con minori, tutti verso la rotta libica, il mare, la disperazione. Cosa le suscitano questi pensieri?
“Che sono uomo fortunato. Pensate davvero alla disperazione che ti porta ad andare verso le galere libiche, o verso il mare che se muori non ti trova più nessuno. Mi fanno piangere il cuore. Personalmente mi ha colpito la storia di Donsah. E’ partito con un barcone, era disperato, quando è arrivato in Sicilia non aveva nulla. A Palermo hanno creduto in lui e gli hanno dato una possibilità, è stato fortunato”.
Purtroppo in mezzo a queste persone c’è anche gente pericolosa, che delinque, che ne pensa?
“E’ vero. Purtroppo il razzismo esiste anche per questo. Ci sono famiglie che lavorano duro ogni giorno per integrarsi, poi però pagano le conseguenze della gente cattiva. Io credo che sia giusto premiare gli stranieri che lavorano in modo regolare, gli onesti. Detto questo il problema non ha colore, le storie negative ci sono a prescindere che tu sia bianco o nero”.
Quindi è d’accordo con Salvini?
“A metà si. A volte dice cose condivisibili altre no. Se uno va in giro con un piccone,senza documenti, ruba nelle case aggredisce le persone è giusto punirlo e mandarlo via. Se penso a quanto accaduto ai ragazzi sul pullman di San Donato in ostaggio di un autista senegalese, impazzisco. Anche io sono del Senegal, è impensabile cosa gli abbia detto la testa. Se fossi stato genitore di uno di quei ragazzi sarei andato io a prenderlo al posto dei carabinieri”.
Tornando al calcio: Tre portieri in famiglia di cosa parlano? Rigori? Tattica?
“Di tutto questo. Siamo una famiglia unita. Ci diamo molti consigli l’uno con l’altro, un confronto quotidiano, tre teste, pensieri differenti, è un vantaggio. Fortunatamente nella nostra vita non c’è solo il pallone, andiamo oltre”.
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