Gianluigi Buffon si racconta a Vanity Fair. Il portiere del Paris Saint-Germain ha toccato molti argomenti, alcuni anche molto personali.
Fra pochi giorni Gianluigi Buffon compirà 41 anni. Sarà il primo, dopo 17 anni, lontano dalla sua Juventus. Oggi è al Paris Saint-Germain, dove spera di giocare ancora un anno: “Se la società è d’accordo… L’idea è quella“, ha dichiarato ai microfoni di ‘Vanity Fair’. Il portiere ha risposto ad alcune domande molto personali, fra qui anche la depressione affrontata circa 15 anni fa. Poi ha detto la sua anche su quanto successo il 26 dicembre a San Siro.
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RAZZISMO E SCONTRI – “Se affonda un barcone a Lampedusa e muoiono 300 persone ci commuoviamo e pensiamo anche ad adottare i bambini rimasti orfani, ma se non affonda ci lamentiamo dell’ingresso di 300 immigrati e ci chiediamo cosa vengano a fare. E’ difficile provare a contestualizzare quanto successo a Milano. L’odio è un vento osceno, da qualunque parte spiri. Non solo in uno stadio. Perché ho il forte sospetto che il calcio, in tutto questo, reciti soltanto da pretesto“.
DEPRESSIONE – “Per qualche mese, ogni cosa perse di senso. Mi pareva che agli altri non interessassi io, ma solo il campione che incarnavo. Che tutti chiedessero di Buffon e nessuno di Gigi. Fu un momento complicatissimo. Avevo 25 anni, cavalcavo l’onda del successo e della notorietà. Un giorno, a pochi minuti da una partita di campionato mi avvicinai a Ivano Bordon, l’allenatore dei portieri, e gli dissi: “Ivano, fai scaldare Chimenti, di giocare io non me la sento”. Avevo avuto un attacco di panico. Non ero in grado di sostenere la gara. Se non avessi condiviso quell’esperienza, quella nebbia e quella confusione con altre persone, forse non ne sarei uscito”.
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