Juventus, Allegri: “Qui bisogna vincere. Pogba? Nessuna offerta per il momento”

Andrea Agnelli (getty images)
Andrea Agnelli (getty images)

NOTIZIE JUVENTUS – Ai microfoni di Sky Sport lunga intervista del presidente della Juventus, Andrea Agnelli. Ecco le parole riportate da tuttomercatoweb.com: “Spesso vengo criticato perchè non parlo abbastanza, ora ho la possibilità di dialogare su quello che è il calcio in Italia, in Europa. Io e la mia famiglia simo molto legati a Torino, da sempre“.

Su Allegri. “Io sono cresciuto negli spogliatoi e so quanto il tecnico debba essere supportato dall’attività quotidiano. Paratici e Nedved sono quotidianamente con l’allenatore, poi ci sono ruoli delicati come il mio e di Marotta ma io delego le decisioni di campo a gente più competente di me ed il tecnico ha piena autonomia“.

Sulle ambizioni. “Chiunque gestisca una società ha l’ambizione di vincere. Quando abbiamo inaugurato lo stadio, ho detto ‘vincere’ in tre minuti per 5-6 volte. Chi è alla Juventus deve pensare solo a vincere“.

Sul ruolo di manager per Agnelli. “Gestire la Juventus nel 2016 e nell’ultimo decennio è diverso rispetto a gestire una squadra di calcio prima dell’introduzione dei diritti tv. Prima c’erano 6, 7, 8 persone. Quando guardiamo oggi la Juventus, siamo una grande società, con un fatturato da 350 milioni di euro, 700 dipendenti, una dimensione non più ludica. Siamo un’azienda in uno dei pochi settori in crescita. Avere un uomo di fiducia della famiglia è importante rispetto ad un manager puro, anche se abbiamo avuto grandi dirigenti che hanno fatto benissimo in Juventus o in altre società“.

Sui momenti della stagione passata. “La cosa migliore dell’ultima stagione è come iniziata e come è finita, Supercoppa in Cina e Coppa Italia a Roma. Dobbiamo ambire a questo, vincere qualsiasi competizione a cui partecipiamo. La parte più difficile è stata da settembre a novembre, fino al derby, un periodo che ci ha spiegato come la compattezza è decisiva nei momenti di difficoltà“.

Sui conti della Juventus. “Marchionne non è azionista nè ad Exor nè vicepresidente. E’ una persona con cui dialogo volentieri: è una persona competente, di grande cultura. Ho il privilegio di poter dialogare mensilmente con lui, esperienza che mi arricchisce. Non è cosa dice l’azionista che decide. Se fai aumenti di capitale ogni 2-3 anni vuol dire che gestisci società non sano o non appropriato alla società che gestisci. La nostra ambizione è quella di avere autofinanziamento e che ambisca a vincere. Siamo passati da una perdita di 95 ad un risultato dimezzato. Se dovessimo riclassificare senza Irap, troveremmo 40 milioni in più. Dal mio punto di vista la società è ben impostata per reggere le sfide dei prossimi 2-3 anni. Poi è da capire cosa succede nel calcio italiano ed in quello Europeo dove lo scenario può essere diverso“.

Sul calcio italiano. “E’ difficile: uno opera nel contesto in cui vive. Ci sono normative: la nostra sede è a Torino, giochiamo in Italia. Noi operiamo in questo mercato ponendoci obiettivi raggiungibili. Abbiamo sempre rispettato i piani triennali. Se siamo arrivati a fatturare 350 milioni raggiungendo equilibrio finanziario vuol dire che si può fare. L’importante è capire come non perdere terreno dalle altre realtà europee“.

Un confronto coi club spagnoli. “Dove erano i club italiani ad inizio degli anni 2000, quelli spagnoli, tedeschi ed inglesi? Dobbiamo vedere la loro e la nostra evoluzione da allora. Nel 2006 abbiamo avuto un momento di fortissima discontinuità, da allora il calcio italiano ha perso di competitività perdendo molti treni fondamentali“.

Sulla Lega. “Nell’ultimo consiglio, abbiamo introdotto il boxing day in un’ora o due per deliberare che ci sarà una data sola tra due anni. Mi sono sentito dire ‘sei abituato ad innovare, noi dobbiamo proteggere’. Serve capire cosa vogliamo essere, facciamo fatica a guardare al modello inglese. Viene spontaneo guardare alla Spagna, dove con la colletivizzazione dei diritti tv, sono state protette le realtà locali“.

Sulla Superlega. “Il mio auspicio è avere una Serie A che sia un nuovo punto di riferimento. Il calcio negli anni 80′ si faceva qui… In Europa è da capire se quel che accade lì è quello che piace. Avere un group stage con risultati scontati (in Champions, ndr) piace? Oppure si vuole modificare il format? Ci sono 2 miliardi di tifosi nel mondo, 1 è del calcio ma con la NFL c’è un gap di 3 miliardi appannaggio loro“.

Sugli investimenti esteri. “Il fatto che stranieri credano nell’Italia è qualcosa di positivo, i capitali devono essere più che benvenuti a questo punto. Per quel che ci riguarda io mi trovo in linea con gli azionisti – penso a Saputo del Bologna o Pallotta della Roma – noi continueremo a lavorare su brand e obiettivi, maggiore è competenza e maggiore è stimolo“.

Sulle richieste su Pogba. “Non ho Marotta qui con me, dovete chiedere a lui“.

Su Sturaro in Nazionale. “Merita, è uno tosto. Noi crediamo di mantenere quei 7-8 giocatori italiani, al di là dell’identità percepiscono la reazione della gente, non riescono ad andare dal parrucchiere o dal macellaio senza capire cosa pensare realmente un tifoso, tra vincere oppure pareggiare o peggio perdere. È fondamentale, al di là della cultura, percepire il termometro della socialità. Noi abbiamo un metodo, molto sano, processo di decisione nella creazione della rosa, è sempre calciomercato. Loro sanno qual è il massimo della retribuzione e della spesa, possono muoversi“.

Sulla Juventus di oggi. “Quando guardo alla rosa degli ultimi 6 anni, è quella più completa degli ultimi sei anni e pure la più europea. Non pensavamo ci volesse così tanto per il rodaggio all’inizio della scorsa stagione, ma abbiamo fatto poi 75 punti consecutivi…“.

Sull’acquisizione di un club straniero. “Altri imprenditori italiani ne avevano tre, ne hanno ceduta una. Sono delle possibilità che esistono, sono possibilità che possono essere utili e strumentali per avere un’armonizzazione con altre realtà competitive. Questo deve essere uno dei pilastri del calcio europeo nei prossimi anni. Il fatto di avere extracomunitari in rosa, in alcuni Paesi c’è libertà totale, in altri è contingentato, così come finestre di mercato aperte più a lungo o meno a lungo in altri Paesi. Sono delle possibilità che stiamo valutando, ma al momento non è all’ordine del giorno“.

Su Conte. “L’ho difeso dal primo minuto, al netto delle pressioni. Visti i cinque anni di grandi successi, la gente si è scordata che abbiamo fatto sei mesi senza allenatore in panchina“.

Su Bonucci all’Italia per lo stage. “Un conto è allenarsi con Bonucci, uno con un ragazzo della Primavera. Mandzukic e Dybala si allenavano contro di lui, ha un valore. La settimana si pensa che non conti nulla ma la domenica è figlia del lavoro settimanale. Mi sorprende che questo non venga capito. Averlo con la squadra è un beneficio in vista della Coppa Italia: ha un grande carattere, è un uomo spogliatoio. Per fare cosa? Tre giorni di stage, di test fisici? Non è relativo ad Antonio Conte, alla Federazione, è un discorso generico“.

Su Conte, Del Piero e su chi si può sentire più importante della Juventus. “Qualsiasi azienda deve essere superiore ai suoi uomini, anche nel calcio. E’ una questione di cultura. se ti senti più importante dell’istituzione per cui operi, c’è un problema. Passano i presidenti, i giocatori, la Juventus resta. E noi abbiamo 120 anni di storia e di successi“.

Sullo stile Juventus. “Non ho mai capito cosa sia. E’ vincere quindi sì, esiste ancora“.

Sul confronto con il Barcellona. “Dovessimo riuscire a vincere la Champions League sarebbe bello. Torniamo al discorso di prima: per le italiane, competere a livello internazionale è difficile. Non solo per il fatturato, non sviliamo tutto a ‘se abbiamo fatturato vinciamo, altrimenti no’. E’ una questione di modelli, di programmazione nel medio-lungo periodo. Negli ultimi anni ci siamo andati 4-5 volte in finale di Champions League. Non è questione di performance del calcio italiano, è che perdiamo la competitività che avevamo. Il mondo sta diventando globale e perdiamo capacità di primeggiare. Quando penso al Barcellona, penso ad alti e bassi. Ha sfruttato magnificamente, come il Chelsea, gli ultimi anni ed aumentato la sua fan-base che gli ha permesso di migliorare introiti con merchandising e abbonamenti digitali“.

Sui nuovi mercati. “La Serie A, nell’Africa Sud-Sahariana, ha rilevanza. Distribuire lì, gratuitamente, sarebbe importante. La vendita diretta dei diritti tv permette maggior controllo, come accade in Spagna dove l’uscita dell’Advisor ha portato gli introiti da 200 a 600 milioni. Invece abbiamo fatto meno di zero“.

Su Tavecchio. “Se guardo oggi i 3 interventi fatti sono stati il financial fair-play finanziario che mi dà perplessità. L’indice di solvibilità non fa altro che far crescere gli interessi passivi. Ha introdotto un sistema senza considerare delle complessità delle eccellenze. Noi non abbiamo seconde squadre da cui attingere talenti, invece sono state introdotte regole che non hanno ancora permesso di risolvere. Noi abbiamo 450 prestiti, in Inghilterra 150, negli altri paesi ci sono tra i 30 ed i 50 giocatori che crescono in campionati competitivi. La Primavera non è competitiva. Di positivo c’è l’introduzione dei centri tecnici federali, ma chi istruisce gli istruttori? Serve gente capace“.

Sulla sudditanza arbitrale. “I cliché non si cambieranno mai. Se parli con quelli della mia parte sportiva, è tutto stravolto… Non mi scoccia, fa parte della tradizione. Fa parte di quelli che sono i soprannomi. Valeva per il Milan di Costacurta (in studio, ndr), in spogliatoio si dice ‘è tutto contro di noi’. Se stai il 90% del tempo nell’area avversaria, hai più possibilità di avere rigori di chi c’è il 10%“.

Su che Agnelli è Andrea Agnelli. “Faccio fatica a rispondere. La gente si può fare delle idee, ognuno ha le proprie forze e debolezze“.

Su Pogba. “Siamo sulla teoria e non c’è dialogo. Parliamo di situazioni non reali. Cosa è Pogba, lo dimostra come lo usa l’Adidas, anteponendolo ad una ridda di giocatori in modo continuativo. Dybala era Pogba 2-3 anni fa, ora i bambini guardano lui. Anche Adidas crede nelle sue capacità, vuole diventare un personaggio superiore anche a Messi e Cristiano Ronaldo. Noi lavoriamo con chi c’è per l’immagine, c’è stata una perdita come Tevez e Pirlo che è stata sostanziale. Nei mercati più lontani, hai bisogno del supereroe per essere vicino al marchio. Nessuno conosceva Dybala, dovevi creare il supereroe. Pogba è l’unico che abbiamo oggi. Poi entrano dinamiche di mercato che possono essere legate alla valutazione che consideri in base al tuo conto. Poi c’è la volontà dei giocatori, al di là dei contratti. Se vuoi andare, vuoi andare. Riparto da Vieri: all’epoca non lo si voleva cedere, l’Avvocato chiamò Moggi dicendo ‘non lo cediamo’. Il mattino dopo, venduto… L’Atletico Madrid gli offrì il quinto, alla Juventus arrivò una somma consona e l’affare si fece. Una trattativa non dura tre mesi. C’è un’opportunità, la cogli o non la cogli. Sono finestre di sette, otto ore. Parte un giocatore, cerchi un campione...”.

Sul giocatore preferito. “Montero“.

Cosa è la Juventus?Sempre amore e passione“.

Gestione cookie