Nell’edizione odierna, ‘Il Corriere dello Sport’ propone un’intervista esclusiva a Zdenek Zeman. Il boemo racconta il periodo trascorso alla Roma e svela diversi retroscena. Ecco alcuni stralci dell’intervista:
L’ESONERO – «Io so che il 22 dicembre, dopo aver battuto il Milan, eravamo, quasi unanimemente, la squadra che con la Fiorentina esprimeva il più bel calcio in Italia. E la Romacon la Fiorentina ne ha vinte anche due su due….».
L’AFFETTO PER LA ROMA – «Quando sono tornato aRoma, l’ho fatto innanzitutto per affetto, perché sono legato al club, perché volevo ripartire – tredici anni dopo – e provare a regalare ai tifosi le stesse soddisfazioni di Pescara. Oggi, a posteriori, non saprei dirle perché sono stato chiamato, né perché mi sia stato proposto un biennale. Hoscelto lasciandomi guidare dai sentimenti: ho pensato ai tifosi, alla Roma».
I PROBLEMI CON LA SOCIETA’ – «Posso soltanto dire che soltanto dopo essere arrivato qua, e non poteva accadere diversamente, ho scoperto che tra me e chi mi aveva voluto c’erano due visioni diverse del calcio. Ci è mancata l’unità di intenti. Si dice così, no?».
IL RISPETTO PER LE REGOLE – «La Roma ha cambiato14 calciatori, nove dei quali titolari. Eravamo la formazione più giovane. Ma anche i ragazzi di talento, per esplodere definitivamente, hanno bisogno di lavorare: l’unica condizione per migliorare e sviluppare le proprie qualità è quella. E poi esiste il rispetto delle regole. Chi arriva in un club così prestigioso, non deve pensare di aver raggiunto l’obiettivo. deve poi confermarsi».
GLI ERRORI COMMESSI – «Forse ho sbagliato nel pensare e nel credere, venendo alla Roma, che tutti avessero il mio stesso entusiasmo e la mia stessa concezione del calcio, il desiderio di vincere».
IL RAPPORTO CON I CALCIATORI – «Io ai ragazzi chiedevo solo che si allenassero. Non ho avvertito un clima così complicato, onestamente. e penso di aver lasciato qualcosa: la finale di Coppa Italia la sento mia, ad esempio. E poi, a parte qualche risultato negativo, c’è un lavoro dietro: fare nomi non è piacevole, ma Marquinhos, che è un ‘94, si è messo in evidenza. Altri hanno guadagnato la Nazionale. E poi penso ai progressi di Florenzi, diCastan, di Lamela, alle reti segnate da Osvaldo, a ciò che secondo me ha dato Tachtsidis».
SU DE ROSSI – «Non ho mai guardato al nome ma alle prestazioni, valuto in base ai meriti e a quello che dice il campo. Leggendo i giornali, ad esempio, aveva una media di5,42. Io non vivo del passato ma del presente».
SU OSVALDO – «Con me ha segnato dieci gol, sarebbe potuto arrivare a venti. A Lecce lo volli io. Ho fatto tutto per il suo bene. E, viste come stanno andando le cose, non dovevo essere io il problema».
LA SCELTA DEL PORTIERE – «Purtroppo si dimentica in fretta: le parate con il Milan e con la Fiorentina andrebbero ricordate; o anche le vittorie quando c’era lui in porta. La serie positiva apparteneva anche a lui. Stekelenburg si è infortunato a Parma e poi è rimasto fuori per un periodo più o meno lungo. Lobont era fermo e Goicoechea mi offrì garanzie. Io non avevo mai messo in discussioneStekelenburg, neppure dopo il gol con la Sampdoria: ma quando è rientrato, non ho colto in lui il desiderio di riconquistare il posto. Tant’è vero che poi andò inInghilterra, quando è sfumato il passaggio al Fulham».
IL MODELLO-TOTTI – «Mi permetto di sottolineare cheTotti, un uomo senza età, corre come un ragazzino. L’esempio è lui, che nonostante sia il calciatore più importante della storia della Roma, resta un modello. Il suoi desiderio di competere è un messaggio diretto per chiunque. Il primo ad arrivare al campo, l’ultimo ad andare via: se qualcuno non l’ha seguito, non è certo colpa di Francesco“.
PROBLEMA-PJANIC – «Ma non ne ho capito il motivo, visto che con me ha giocato quasi sempre. Poi è evidente che ho interpretazioni personali sul ruolo: e posso pure pensare che lui non debba giocare in prossimità di Totti, ma sul versante opposto».
IL FUTURO – «Penso di allenare ancora. Di fare il mio calcio».