IL MESSAGGERO – RASSEGNA STAMPA – (M. Conterio) – Zeman non sorride. O almeno non lo dà a vedere, perché stringe la Panchina d’Argento tra le mani con forza, con orgoglio. “Ringrazio i colleghi” dice, dopo esser stato eletto miglior tecnico della B per la promozione in A con il Pescara. “Il ringraziamento più grande va anche ai miei giocatori ed alla società, che mi ha permesso di lavorare secondo le mie convinzioni”. La frecciata è servita. Il Pescara era Zeman, Zeman era il Pescara. Una simbiosi perfetta, sfociata in una promozione storica. Poi la seconda faccia della medaglia, quella della Roma, esperienza finita con una dura e ruvida separazione. “Non ho rimpianti, non mi pento di niente di quanto fatto quest’anno. Volevo fortemente la Roma e per questo sono tornato alla Roma. Mi dispiace soltanto di non esser riuscito a fare quello che avevo in testa, quello che secondo me la squadra era in grado di fare, come potenzialità”. C’è orgoglio, già, ma anche un velo di tristezza nei suoi occhi, di rammarico e delusione, per aver fallito l’esperienza capitolina. “Non ho ancora pensato dove e come ricominciare. Però sono contento che ci sia ancora tanta gente che crede e che ha creduto in me”. Un uomo che ha accantonato un simbolo, De Rossi, aggrappandosi però sempre all’altro: Totti. “Aspetto di festeggiare con lui il superamento dei gol di Nordahl, gli manca davvero poco”. Zeman è questo, prendere o lasciare. Dopo la premiazione stringe un paio di mani, si prende un po’ di applausi ed esce per parlare di calcio. Incrocia Conte sul palco, la foto è e forse sarà unica nel suo genere: sorriso e stretta di mano, tra i due. “L’ho votato per la Panchina d’Oro perché lo scorso anno ha fatto meglio di tutti gli altri allenatori. Alla guida della Juventus è stato capace di creare una mentalità vincente, giocando anche un grande calcio”.