LA GAZZETTA DELLO SPORT – Inizio forte con Oprah Winfrey: “Epo, testosterone, trasfusioni, questo era il cocktail”. Difende il medico Ferrari: “Brava persona”.”Primeggiare da pulito? Era impossibile”. Nella notte è andata in onda la 2a parte…
RASSEGNA STAMPA – (M. Lopes Pegna) – L’inizio è la parte più forte. Oprah Winfrey e Lance Armstrong sono già seduti in poltrona. Pochi preamboli, domande secche: il gioco, crudele, del sì e del no.
“Ha mai fatto uso di doping?”. “Sì”.
“Di Epo?”. “Sì”.
“Di trasfusioni?”. “Sì”.
“E di testosterone, cortisone e ormoni della crescita?”. “Sì”.
In pochi secondi, il mito va in pezzi. Lance accavalla la gamba destra, se la tortura con la mano destra a cui non ha dimenticato di allacciare il braccialetto giallo della Livestrong, la fondazione da lui creata per la lotta al cancro. Più volte si morde le labbra, a volte pare in difficoltà a deglutire. Ma raramente nel corso della prima parte della lunga intervista (la seconda è andata in onda ieri sera, nella notte in Italia) fa trasparire tracce di rimorso. Molte ammissioni, un mea culpa in alcuni frangenti soddisfacente. Ma le sue dichiarazioni non fanno avanzare di un centimetro la causa per un ciclismo più pulito.
Lance non fa nomi, non coinvolge nessuno, tiene fuori dalla mischia persino il dottor Michele Ferrari: “Difficile parlare di certe cose senza coinvolgere altri. Tutti commettono errori, ma non per questo sono mostri. Ferrari è una brava persona, una persona intelligente”. Oprah ha la colpa di non incalzarlo sull’argomento. Deve pensare all’audience del suo canale, che nel primo anno di vita non ha prodotto numeri eccellenti. Così, preferisce evitare dettagli che molti non conoscono per spettacolarizzare lo show con un’altra batteria di domande secche che hanno un effetto esplosivo.
“Ha mai pensato di fare qualcosa di sbagliato?”. “No. Spaventoso, vero?”.
“Ha mai creduto che il doping significasse barare”. “No. E questa credo sia la risposta più spaventosa”.
A questo punto gli scappa un sorrisetto istintivo, ma fuori luogo. E dice: “Ovunque andavo mi dicevano che ero un dopato. “Cheater, cheater”, mi gridavano. Allora per ribadirmi che ero nel giusto andavo a rileggermi sul dizionario il significato di quella parola. Vuole dire prendersi un vantaggio sugli altri con un metodo scorretto. Ma io non la vedevo così, perché facevamo tutti la stessa cosa”.
Ammette che sarebbe stato umanamente impossibile vincere i sette Tour de France senza il doping. Che le pratiche illecite e quella cultura basata sull’inganno, però, non le ha inventate lui, ma si assume la responsabilità di non aver fatto niente per fermarle. Concede di essere un arrogante e un prepotente, che la battaglia contro il cancro ha ispessito quella parte del suo carattere. Parla spesso con la stessa lucidità con cui per anni ha spiegato a grandi platee le strategie del successo. Lascia sbigottiti quando definisce la pratica del doping così: “Come gonfiare i tubolari o riempire le borracce d’acqua. Rientrava nella routine del mio lavoro”. Chi per anni ha ragionato in questi termini, non può improvvisamente diventare un pentito. E Lance il freddo non si scalda mai, neppure mentre buca con le sue risposte la bolla di sapone in cui aveva racchiuso la sua apparentemente splendida vita: “Era un’immagine costruita. Quella dell’eroe che batte il cancro, vince sette Tour de France, ha un matrimonio modello ed è padre di famiglia. Era tutto falso”.
L’America è celebre per accordare sempre la seconda chance, ma pretende tutta le verità, nient’altro che la verità. Dicono che non abbia potuto dirla su suggerimento del suo team legale. Anche per questo non dà l’impressione di essersi ravveduto. Quando Oprah gli chiede se era vero, come scrive Tyler Hamilton nel suo libro, che si iniettavano Epo nei camper e si liberavano delle siringhe mettendole nelle lattine di Coca Cola, dice di non aver mai letto quel libro. Gli esce una risatina nervosa. Poi racconta: “Non so, diciamo che non è una bugia. Non ricordo”. Non ricorda un simile particolare? Poi nega tante altre cose. Di essere stato un leader del sistema doping, di aver costretto i compagni nelle pratiche illecite (“Non ho mai impartito ordini diretti in merito”) e di non essere mai stato trovato positivo al Giro di Svizzera 2001. Mentre conferma la sua positività al cortisone al Tour 1999 (poi cancellata da un certificato medico retrodatato). Preferisce non entrare nei dettagli di ciò che avrebbe detto ai medici, che gli curavano il tumore, nella stanza d’ospedale a Indianapolis davanti all’amico e compagno di squadra Frankie Andreu e a sua moglie Betsy. Furono loro fra i primi accusatori, fatti passare per bugiardi spinti dall’invidia. Lance si scusa. Con loro e tutti quelli che lo guardano.
Dice che si è fregato con le sue mani quando ha deciso di tornare alle gare nel 2009. Perché il suo ex collega Floyd Landis, che minacciava di spifferare tutto, si sentì ostracizzato e iniziò ad accusarlo. “Oggi non saremmo qui per l’intervista se non fossi tornato a correre. Quando la magistratura ha chiuso l’inchiesta senza procedere, ho pensato di averla fatta franca”, spiega. Così ci lascia inevitabilmente il dubbio della sua sincerità: non fosse stato costretto, avrebbe mai confessato?