LA GAZZETTA DELLO SPORT – “Ho cambiato perché se vinci con il Real entri nella storia, ma il mio cuore resta nerazzurro”…
RASSEGNA STAMPA – In un lungo servizio mandato in onda lunedì a tarda sera da una televisione portoghese (la TVI), Mourinho ha fatto una dichiarazione d’amore all’Inter di Moratti, quella che ha portato al ‘triplete‘ nel 2010. “L’Inter è il club in cui mi è piaciuto di più stare. Nessun altro mi ha regalato la stessa felicità. L’Inter è una famiglia e io appartengo alla famiglia nerazzurra per sempre. Quando l’ho lasciata ho pianto più di una volta. Ho vissuto in un ambiente fantastico, dalla Pinetina, dove ci si allenava, a San Siro“. Sono tanti i momenti intensi ripercorsi. Dalle lacrime di commozione a Champions appena vinta al lungo abbraccio con Materazzi ripreso da una telecamera indiscreta nel ventre del Bernabeu, che poi diventerà suo. Davanti a tanto dispiacere, la domanda è stata d’obbligo: perché ha lasciato Milano per Madrid? “Anch’io — ha risposto José — mi sono chiesto perché l’ho fatto. E’ giusto, allora, che lo spieghi. Era la terza volta che il Real mi proponeva la sua panchina. I miei amici dicevano: “Puoi essere un grande allenatore, ma se non sei campione con il Real Madrid ci sarà sempre nella tua carriera un qualcosa che mancherà, un buco sempre aperto”. Capello ce l’aveva fatta. Allora ho deciso di impegnarmi personalmente con Florentino Perez. E ci sono andato. Ma per l’Inter ho una nostalgia che è sempre presente”. Mou ha poi raccontato aneddoti inediti del suo periodo nerazzurro. “Il mio primo scudetto all’Inter non lo abbiamo vinto in campo bensì al centro sportivo di Appiano Gentile. Era un sabato e il nostro inseguitore era il Milan, che nell’anticipo di quella sera era stato battuto (dall’Udinese n.d.r.) rendendoci così campioni. Era la terz’ultima di campionato e noi dovevamo giocare il giorno dopo col Siena. Al centro esplose subito la baldoria, con tutta la squadra a chiedermi di andare a festeggiare in Piazza Duomo assieme ai tifosi. Io ho pensato: se ci andiamo non andremo a letto prima delle tre-quattro del mattino e poi scendiamo in campo stanchi e addormentati e la striscia di partite di fila sempre vinte finisce lì. No, non possiamo farlo: “Tutti a letto” ho tuonato. Quando già ero in camera mia pronto a coricarmi bussa alla porta Júlio Cesar. Il suo era un grido di dolore, piangeva a dirotto: “Mister, dobbiamo andarci in Piazza Duomo, ci aspettano in migliaia. Se non ci andremo tu in vita tua non vincerai più niente”. Parole che sembravano una maledizione. Ho pensato: “Sono fregato”. Non sono superstizioso, ma quelle parole mi hanno lasciato traballante. Bene. Andiamoci tutti: e così è avvenuto. I tifosi quando ci hanno scoperto sono diventati pazzi. Siamo tornati ad Appiano verso le tre di domenica e nel pomeriggio i giocatori sono stati fantastici, dando tutto per non perdere l’imbattibilità e per non consentire agli avversari di dire che avevano battuto i neocampioni d’Italia. Questi ricordi, lo ripeto, mi procurano tanta nostalgia. Gioisco per i successi dell’Inter e soffro quando l’Inter viene battuta o fermata, com’è successo in queste ultime settimane… Fra l’altro, l’unica volta in vita mia in cui ho vinto ai rigori è stata la Supercoppa Italiana conquistata contro la Roma, il primo dei miei trofei nerazzurri. E’ che quando si va ai rigori per decidere il vincitore mi assale il panico. Così perdo sempre, compreso l’ingresso a due finali di Champions League con Chelsea e Real. Soltanto l’Inter mi ha regalato anche questa gioia”.