CALCIO. Narducci: “Calciopoli non ha cancellato i mali del calcio. MOGGI? E’ ossessivo”

Il Pm che si occupò del caso Calciopoli fa chiarezza su quella vicenda e sull’attuale momento del calcio italiano…

(getty images)

Giuseppe Narducci, pm dell’inchiesta napoletana su Calciopoli, è intervenuto in diretta sulle frequenze di Rete Sport. Queste le sue parole.

Che idea si è fatto del mondo del calcio? 
“Non avevo idea prima del 2004 – quando feci la prima indagine sul Calcioscommesse di Serie A e B – di che mondo fosse, avevo solo un’idea “da tifoso”, devo dire che l’impatto fu agghiacciante. Vivendolo dall’interno ho scoperto tutta un’altra realtà con molti lati oscuri perché le cose sono in modo diverse rispetto a come appaiono”.
Su Calciopoli. 
“E’ stato fatto un ottimo lavoro perché dal punto di vista investigativo ha rappresentato qualcosa di irripetibile nella storia giudiziaria italiana. Le difficoltà e l’impegno in un’indagine di questo tipo è stata di gran lunga superiore rispetto ad un’indagine di criminalità mafiosa, perché si trattava di verificare le nostre ipotesi di reato rispetto ad una realtà particolare. Sono soddisfatto di quello che abbiamo fatto”. 
Perché non si è andato avanti nelle indagini che riguardavano anche l’Inter?
“Dal materiale del processo sono rimaste fuori tante cose perché alla fine dell’indagine bisognava portare solo i fatti che dimostrassero l’esistenza di reati, non quelli che riguardavano episodi di malcostume; di quelli comunque ce ne sono tantissimi all’interno dell’indagine. I Pubblici Ministeri avevano l’obbligo di esporre solo i fatti che dimostravano l’illecito penale, non altro”.
Su Scommessopoli.
“Quando parlo di una situazione migliorata o comunque di una situazione diversa rispetto a quella che esisteva prima del 2005/2006 penso di non fare un’affermazione esagerata. I mali del calcio non si esauriscono nei fatti accertati da Calciopoli e non finiscono con i protagonisti di Calciopoli, però non esiste più quel meccanismo illecito che ha operato attraverso un’associazione a delinquere. Dopo quella esperienza abbiamo voltato comunque pagina e certo, proseguono comunque tante vicende ma secondo me tra Scommessopoli e Calciopoli non c’è nessun rapporto, nessun legame. Nella gerarchia dei fatti penso ci sia poco da discutere: ciò che emerso da Calciopoli sono fatti molto duri perché quell’entità, chiamato Gruppo Moggi, aveva i caratteri propri dell’associazione per delinquere prevista dal Codice Penale. Questa gravità non la riscontro in Scommessopoli, la mia non è una lettura riduttiva perché non sto parlando di fatti trascurabili, anzi. Sono situazioni strutturali del calcio italiano perché in futuro si riparlerà di questa vicenda, basta pensare a cosa è successo negli anni ’80-’90, cioè la presenza di un organizzazione estranea al calcio che penetra in questo mondo corrompendolo”.

Si può parlare di occasione persa?
“Ricordo come all’epoca si aprì un periodo di speranza che coincise con i pochissimi mesi di gestione quale Commissario Straordinario della Federcalcio di Guido Rossi, qualcosa che possiamo paragonare al primissimo periodo di Mani Pulite o Tangentopoli. Furono delle speranze che però vennero tradite perché sarebbe toccato al mondo del calcio rigenerarsi anche nella sua cultura e nella sua mentalità. Questa sì che è stata un’occasione persa. Nel libro (“Calciopoli, la vera storia”, ndr) ho voluto ricostruire la vicenda cercando di offrire ai lettori solo ed essenzialmente i fatti. Su Calciopoli si è scritto di tutto e di più, un’orgia di notizie e di commenti in cui sembra che sia stato detto tutto. A volte invece credo che, soprattutto dopo passati alcuni anni, sia opportuno ripensare a quegli avvenimenti per offrire il ventaglio maggiore possibile di fatti e circostanze”.

Sulla giustizia sportiva.
“La giustizia sportiva ha il problema di dover per forza fare in fretta perché il Campionato preme. Comprendo le critiche rivolte da più parti perché questa esigenza di celerità può scontrarsi con l’esigenza di approfondimento e conoscenza vera del materiale. Nell’agosto del 2006 ricordo che ci fu questa esigenza, anche perché eravamo a ridosso dei Mondiali; le decisioni prese confermarono la bontà di quel materiale anche se si verificò una circostanza strana perché la giustizia sportiva emise quelle sentenza senza avere a disposizione qualcosa che poi nel processo penale si rivelò essere elemento di forza maggiore: scoprimmo la rete delle schede telefoniche straniere soltanto nel 2007, quelle avrebbero accertato l’associazione a delinquere. Probabilmente le sanzioni sarebbero state più dure perché quella rete clandestina sarebbe stata uno dei capisaldi per accertare l’associazione a delinquere”.
Sulle dichiarazioni di Moggi che parla continuamente di complotto ai suoi danni.
“Potremmo scoprire svariate altre entità, parlando di complotto giudaico-massonico (ride, ndr), che ha guidato le menti e le mani di Carabinieri, PM e Giudici. Sono dichiarazioni ossessive queste. Ci sia stato un collegamento tra i fatti riguardanti le storie Telecom, Tavaroli, Cipriani e la nostra indagine, ogni volta questa tesi viene riproposta ma io e i miei colleghi ci domandiamo cosa c’entra tutto questo. I fatti veri sono che dopo aver concluso quella famosa indagine del 2004 circa le scommesse e gli incontri alterati che riguardarono alcuni calciatori come Bettarini, la nostra indagine proseguì e attorno alla storia della famosa “combriccola romana” cioè di un gruppo arbitrale, partirono delle intercettazioni che durante il Campionato 2004-2005 cominciarono a dare i propri frutti. Non si tratta di storie segrete perché si trovano tutto nelle carte del processo e nelle deposizioni testimoniali. Non penso ci sia altro da aggiungere”.
Se le intercettazioni fossero cominciate prima?
“In parte io credo che si sarebbe trovato qualcosa perché ci sono una serie di avvenimenti che saltano fuori attraverso alcune deposizioni e intercettazioni – fra tutte una vicenda che riguarda Carlo Ancelotti – che fanno ritenere che tutto questo non sia nato improvvisamente il 15 di agosto del 2004. Le prime intercettazioni a partire furono quelle della Procura di Torino e attraverso queste si capisce che quel gruppo di persone era già attivo da un bel po’ di tempo prima. Credo che si sarebbe colto quasi lo stesso tipo di dinamiche studiate poi in quel periodo”.
Sulla figura di Carraro.
“Ritenemmo di individuare a carico di Carraro non una responsabilità uguale a quella degli altri, ma eravamo convinti che lui non appartenesse a questa associazione; cogliemmo invece che nello sforzo di assicurare un sottilissimo e precario equilibrio delle dinamiche interne alla Federazione, Carraro si fosse adoperato nell’interesse di alcune squadre, come della Lazio. Facemmo così richiesta di processare anche lui. I giudici non ritennero che vi fossero elementi sufficienti per farne un processo a suo carico, noi però eravamo convinti della bontà delle nostre idee ma non ci fu data ragione e quella sentenza di proscioglimento ai danni di Carraro rimase tale”.
Su Carlo Petrini.
“Il mio libro è dedicato a Carlo per varie ragioni, tanto più che oggi penso sia diventato il simbolo di un calcio pulito in tutti i sensi. E’ un’immagine di speranza proprio perché è il simbolo di un calcio scellerato visto che è stato protagonista di qualsiasi nefandezza di questo mondo: doping, incontri truccati e mille altre vicende. Era però protagonista di una storia unica del calcio, cioè di chi si riscatta scegliendo di rompere il muro dell’omertà. E’ giudicata ancora oggi un’eresia quella di Carlo visto che il mondo del calcio è un mondo omertoso. Chi ricorda i nomi dei pochi coraggiosi che hanno detto qualcosa sul processo Scommessopoli? Basta pensare al caso Farina”.

 

 

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