IL CORRIERE DELLO SPORT – Schiavo del personaggio e del bisogno di fare sempre il numero: ritrovi la fame del primo anno ma la squadra lo aiuti…
RASSEGNA STAMPA – Ha giocato male e il primo a rendersene conto dovrebbe essere proprio Zarate. Tutti si aspettavano di più e anche questa considerazione è indiscutibile. Sarebbe, però inopportuno scaricare tutte le colpe sull’argentino e massacrarlo, facendolo passare per il capro espiatorio della sconfitta con il Genoa. Mauro ha bisogno di sostegno, Petkovic deve stimolarlo e sottolinarne le mancanze, ma non potrà abbandonarlo. Significherebbe depauperare un patrimonio e sacrificare una risorsa ancora importante per la Lazio. Zarate è un caso, Zarate è un talento da recuperare. Tutti lo devono aiutare, a partire dai compagni, quando sbaglia. Serve fiducia: non è bello vedere dalla tribuna Marchetti rimproverarlo in maniera così plateale per essersi ‘dimenticato’ della marcatura su Sampirisi. Forse è il significato profondo della sconfitta con il Genoa: Lazio bella, narcisa, ma poco cinica e cattiva per portare a casa il risultato, troppo sicura di se stessa. La crisi di Zarate non dipende dagli altri ma solo dal blocco mentale dell’argentino, diventato ostaggio del proprio personaggio. Gioca sotto stress, non è sereno, non è tranquillo. Vorrebbe provare, nel suo vecchio stadio, a ripetere le stesse giocate che tre anni fa avevano fatto innamorare l’Olimpico. Non ci riesce e si innervosisce, esce dalla partita, ne gioca una tutta sua e in cui, appena tocca il pallone, lo vive e lo gioca come se dovesse essere quello della vita, perché la gente si aspetta il numero. No, non funziona così. Il campo, giudice inesorabile e infallibile, è uguale per tutti. Vale anche per Zarate, che tecnicamente è superiore a quasi tutti. Non è possibile che sbagli tanti palloni di fila come è successo nel primo quarto d’ora. Vale la pena ricordare la fame con cui si presentò a Roma. Rossi rimase colpito non solo dal suo talento, ma dalla voglia e dalla cattiveria espressa nel rincorrere i difensori. Quella ‘fame’ non c’è più e non si è vista domenica sera, nella notte in cui Zarate ha avuto l’occasione per riprendersi la Lazio. Doveva mangiarsi l’erba e farsi vedere indemoniato, invece niente, prigioniero di pensieri e incertezze. Questa è stata la vera delusione, non il gol sbagliato o il dribbling fallito. Maurito, come il primo anno, dovrebbe tornare a sentirsi normale, uno dei tanti, uno che ha fame di successo. Cancellare il passato e ripartire da zero. Oggi gioca come un vecchio campione alla fine di una carriera gloriosa. Invece ha 25 anni. E Klose, può essergli da esempio.