CORRIERE DELLO SPORT – «Non ho paura a pronunciare quella parola. Siamo competitivi. Le milanesi hanno perso qualcosa, il Napoli Lavezzi. Il nostro obiettivo minimo deve essere quello di giocarselo sino in fondo»…
Nicolas Burdisso ha rilasciato una lunga intervista al quotidiano. Ecco di seguito alcuni stralci:
La vittoria di San Siro ha rilanciato l’entusiasmo della gente.
«E’ una cosa buona, importante. Ma noi dobbiamo restare con i piedi per terra, perché a Roma ci si illude facilmente. In questo senso la sosta ci aiuterà a metabolizzare il risultato di Milano e a rimetterci al lavoro con umiltà e determinazione. Il Bologna sarà un avversario tosto, come il Catania: noi soffriamo certe partite, per una questione di testa».
E gli scudetti, come diceva Capello, si vincono contro le squadre meno importanti…
«Esatto. Ricordo che il primo scudetto che vinsi nell’Inter passò proprio attraverso queste partite. Anche adesso se vogliamo lottare per il vertice, che poi è il nostro dovere, dobbiamo ragionare partita per partita senza mai perdere concentrazione».
Se la sente di dire che questa Roma è da scudetto?
«La parola non mi fa paura, perché non sono scaramantico. Perciò dico: la Roma merita di vincere, il suo posto è tra le società che vincono. Quindi l’obiettivo minimo è giocarsela fino in fondo, lottare per il primo posto. Conteranno la fame e la convinzione, oltre alla qualità. Io credo che ci siano ma poi sarà il campo a decidere».
Tornando dopo l’infortunio che squadra ha ritrovato?
«Una Roma più matura, grazie al rinnovamento dell’organico. La società è la stessa, la squadra no. In più c’è Zeman che ha più esperienza e più storia di Luis Enrique ma ha le stesse idee di chi l’ha preceduto: vuole giocare su tutti i campi per vincere».
La differenza principale che ha notato tra Zeman e Luis Enrique?
«Sono cambiati i metodi di allenamento: ora facciamo tanta preparazione atletica. In partita l’avete visto: con Luis Enrique tenevamo la palla, gestivamo il possesso aspettando il momento per attaccare. Adesso è il contrario: si va verso l’area avversaria il prima possibile».
E il suo compagno di reparto Castan che impressione le ha fatto?
«Ottima. E’ un giocatore esperto e serio, che sa quando deve anticipare e quando deve ripiegare. Io cerco di fargli capire come giocano certi calciatori che forse lui ancora non conosce».
E dei giovani Marquinhos e Romagnoli cosa dice?
«Sono molto bravi. Marquinhos è velocissimo, ha una forza fisica che si nota subito. Romagnoli invece è il tipico centrale italiano, ben posizionato, difficile da saltare, bravo tatticamente. E gioca il pallone senza buttarlo mai via».
In questo campionato quali sono le rivali della Roma?
«La Juventus è la più forte: a lei dovremo cercare di strappare lo scudetto. Invece mi pare che le milanesi abbiano perso qualcosa. E lo stesso Napoli, senza Lavezzi, è diverso. Ma non dobbiamo pensare agli altri. Dobbiamo ragionare su noi stessi, con la convinzione di fare una grande stagione».
Il fatto di non giocare le coppe è un vantaggio.
«Per l’allenatore forse, ma per un giocatore no. Un giocatore trova la condizione più facilmente se va in campo ogni tre giorni. E’ anche un allenamento per la testa: quando vinci, giochi la partita successiva più carico; quando perdi, hai subito la possibilità di rifarti. No no, a me le coppe mancano. E credo manchino anche alla Roma come società».
Meglio lo scudetto del Mondiale con l’Argentina?
«Sono sincero, parlo da argentino che ha sangue italiano. Vincere il Mondiale in Brasile sarebbe il massimo… Ma adesso penso soprattutto allo scudetto con la Roma. Fatemi vincere qui, poi mi dedicherò al Mondiale».
Come giudica la nuova struttura societaria? Le piace Pallotta presidente a distanza?
«L’ho conosciuto a Boston, mi ha fatto un’ottima impressione: è una persona di spessore, interessata, ha voluto conoscerci uno per uno. Non è un problema se il presidente passa molto tempo in America. Per un giocatore è importante che ci sia una società. E la società, con Baldini, Sabatini e Fenucci, è molto presente».