LA GAZZETTA DELLO SPORT – Ritenuti ‘non superabili’ i dubbi sulla credibilità di Masiello, loro accusatore…
RASSEGNA STAMPA – (V. Piccioni) – Andrea Masiello non è Filippo Carobbio. E’ il telegramma con cui si potrebbero riassumere le motivazioni con cui la Corte di Giustizia Federale, i giudici del secondo grado del calcio, ha motivato ieri l’assoluzione di Leonardo Bonucci dall’accusa di illecito sportivo, quella di Simone Pepe per omessa denuncia, e degli altri tesserati sotto accusa per il 3-3 di Udinese-Bari del 9 maggio del 2010, Nicola Belmonte, Salvatore Masiello e la stessa società friulana, che doveva rispondere di responsabilità oggettiva proprio per il comportamento di Pepe. In pratica, per i giudici d’appello, che hanno più volte sottolineato (in primis sul caso Conte) la credibilità di Carobbio, non si possono avere le stesse certezze riguardo alla testimonianza di Andrea Masiello, su cui “esistono dubbi non superabili”. Per tutto questo, i giudici hanno dunque confermato ciò che già i loro colleghi del primo grado avevano scritto, rigettando il ricorso del procuratore Palazzi, che nella sua requisitoria aveva chiesto invece le condanne. Le dichiarazioni di Andrea Masiello sono “prive del richiamato riscontro esterno”. E “le diverse, successive e non collimanti versioni fornite dal dichiarante circa i tempi e le modalità del suo colloquio con Bonucci non possono non suscitare dubbi sull’esattezza dei ricordi di Masiello“. Poi la telefonata Salvatore Masiello–Pepe, negata dai diretti interessati, in cui a giudizio della Corte, il primo “avrebbe finto di sottoporre la proposta a Pepe per non inimicarsi il suo omonimo limitandosi peraltro a parlare d’altro con il giocatore allora all’Udinese“. Infine i giudici spiegano come “non siano affatto comprensibili le ragioni per cui Pepe, Bonucci, Belmonte e Salvatore Masiello non si siano rivolti dopo la gara ad Andrea Masiello per riscuotere il dovuto”.