RASSEGNA STAMPA – LA GAZZETTA DELLO SPORT – (Luigi Garlando) – La madre Silvia ha trasmesso affetto e lui si è ritrovato: “Si è messo a piangere, mi ha chiesto di portare papà a Kiev”. Il grazie a Prandelli…
Ha avuto una buona idea papà Franco Balotelli: il cioccolato bianco. Perché da piccolo Mario magari tornava dagli scout, cambiava borsa per andare a giocare a pallone e in campo sentiva le gambe stanche. Una barretta di cioccolato bianco lo ricaricava. Erano i suoi spinaci. Ma solo bianco, quello nero lo detestava. Così papà Franco è andato al supermercato a comperare una tavoletta di cioccolato bianco e lo ha affidato alla moglie Silvia che giovedì si è imbarcata per Varsavia insieme al figlio Giovanni. Il signor Balotelli ha preferito evitare gli affanni del viaggio, ma ha raggiunto il figlio quel messaggio d’affetto. Mario aveva giocato buone partite all’Europeo, ma non da vero Mario: la corsa lenta rimontata da Sergio Ramos, tiri deboli… Come se a quelle gambe mancasse forza. Cioccolato bianco.
Ghetto. Sul charter Silvia ha conosciuto la mamma di Antonio Cassano. “Le ho detto: “Sono contenta che Mario e Antonio vadano tanto d’accordo”. Abbiamo parlato dei nostri figli”. Che in serata, due telecronisti tedeschi con infelice metafora avrebbero definito prima “cani randagi” e poi “Due persone non autosufficienti”. Nel pomeriggio la signora Balotelli ha contattato Mario per telefono. “Pensavo di poterlo incontrare subito, anche solo per un attimo. Mi sembrava strano non potergli dare almeno un bacio, abbracciarlo. Mi ha spiegato che aveva la riunione tecnica. Gli ho detto subito del cioccolato bianco”. Allora la signora Balotelli e il figlio Giovanni hanno ingannato il tempo passeggiando per il centro di Varsavia, hanno raggiunto il ghetto. La mamma di Silvia era un’ebrea tedesca nata a Breslavia. Scampò alla persecuzione nazista, mentre i genitori e la sorella minore morirono nei campi di sterminio. “Abbiamo raccontato la storia a Mario che ad Auschwitz si è emozionato. Naturalmente per la mia famiglia, che ha origine ebraica, il ricordo è ancora più vivo sulla pelle”. In Polonia, proprio contro la Germania, Mario stava per segnare i gol che avrebbe fatto esplodere il suo destino.
Gol. Non c’è stato modo di fare arrivare il cioccolato bianco, né attraverso gli amici di Mario, né nel pre-partita. “Mi sono presentata alla moglie di Buffon, una signora molto bella con due bambini, poi a un signore gentile con i riccioli scuri (Demetrio Albertini, ndr), che mi ha aiutato ad avvicinare Mario che stava facendo il riscaldamento. Ma è stato un attimo. Era concentratissimo”. In realtà, il cioccolato bianco era arrivato a destinazione, si era sciolto nei muscoli, li aveva resi più forti, come da bambino, anche senza mangiarlo. La forza non è arrivata dal latte, ma dal messaggio d’affetto del padre, dalla madre seduta a pochi metri, dalla consapevolezza di avere due genitori deliziosi che l’hanno blindato di consigli e di attenzioni fino a condurlo lì, sotto gli occhi del mondo, a giocarsi la felicità. Quando infatti gli è rimbalzato il pallone davanti, lo ha colpito con tanta potenza che il portiere Neuer ha allungato la mano, poi l’ha ritirata subito per conservala illesa: 2-0 alla Germania, due gol di Mario.
Genietto. E lì la signora Balotelli si è messa a piangere. “Lacrime di gioia e di commozione. Sapevo quanto Mario ci tenesse a dimostrare il suo valore. Me lo ha detto spesso: “Mamma, non sono uno spaccone. Ma sento di avere dentro qualcosa di speciale”. Chiamatelo talento, genietto. Anche noi ce ne siamo accorti fin da piccolo, quando faceva le gare con i compagni, che Mario aveva qualcosa in più”. Non riuscire a tirare fuori quel ‘qualcosa di speciale’, dopo tante attese, tante critiche, tanto scetticismo, stava diventando una tortura. “Quando si sente in difficoltà, discusso o tradito, Mario reagisce chiudendosi a riccio. Si isola dagli altri. È successo prima dell’Irlanda. Faticavamo a parlargli, a ricevere risposte ai messaggi. Per questo ho pianto di gioia. Perché quei due gol in una partita così bella e importante, lo hanno liberato, è uscito il talento, il genietto. È riuscito a dimostrare ciò che voleva, finalmente”. Mario era un vascello che navigava da anni con un carico esplosivo di potenzialità. Giovedì, al momento giusto, le polveri hanno preso fuoco in modo spettacolare e tutto il mondo ha capito chi è Mario Balotelli, capocannoniere dell‘Europeo. Il suo busto statuario e il suo nome, avvolto da aggettivi esaltanti, hanno fatto il giro del mondo. L’ex bambino che rifiutava il cioccolato nero per ragioni nascoste nell’inconscio, oggi è un ragazzo felice, acclamato in tutte le piazze d’Italia.
Prandelli. “Però non mi è piaciuto quando si è tolto la maglia. I giocatori dovrebbero sempre tenersela addosso, per questione di rispetto. Io mi sono spaventata perché pensavo che la seconda ammonizione gli avrebbe fatto saltare la finale. Poi mio figlio Giovanni mi ha spiegato la nuova regola. Mi sono spaventata anche quando si è fatto male. Giovanni, che ha giocato a calcio, mi ha tranquillizzato ancora: “Solo crampi, mamma. Era ora che uscisse con i crampi… Oggi Mario ha corso anche per gli altri. Ha fatto un partitone”. Prandelli è una brava persona, ha insegnato tante cose importanti a Mario, per questo oggi (ieri, ndr) al telefono gli ho detto grazie. A fine partita, ho lasciato il mio posto in tribuna e mi sono avvicinata al campo. C’era un muro di ragazzi davanti, ho dovuto lottare per farmi largo. Mario mi ha abbracciato e si è messo a piangere. Difficile che Mario pianga. L’ultima volta forse per Mourinho. Difficile anche che mi abbracci così davanti a tutti. Come tutti i ragazzi, di solito si vergogna. Ma era troppo felice. Si è giustificato per la maglia tolta: “Ero stufo di farmi criticare perché non esulto. Così mi sono inventato qualcosa”. Nell’orecchio mi ha chiesto il regalo: portare papà a Kiev. Nella notte sono rientrata in Italia. Domenica saremo a Kiev tutti insieme: Franco, i nostri figli, Giovanni, Corrado, Cristina“. E un po’ di cioccolato bianco.