Il procuratore aggiunto di Torino Raffaele Guariniello parla della sua inchiesta storica su larga scala per la cura e la prevenzione della Sla
Su calciomercato.com, si parla di calcio e di Sla. La ricerca scientifica ha scoperto che la causa della malattia è dovuta ad un gene e questo ha escluso il legame diretto tra Sla e attività calcistica. Ma soltanto grazie all’inchiesta su larga scala condotta da Raffaele GUARINIELLO, 71 anni, Procuratore Aggiunto di Torino, si è potuti arrivare a queste conclusioni.
Impegnato in prima fila alla cura e alla prevenzione della Sla fin dalla fine degli anni ‘90, il magistrato torinese dichiarato:
“Quando cominciammo ad indagare sul doping nel calcio, furono numerose e le persone che vennero a cercarci per segnalare i loro sospetti in merito alla somministrazione sospetta di farmaci o sostanze, in particolare le vedove di alcuni calciatori. Trattandosi però di patologie aspecifiche, che potevano derivare da tanti fattori, è stato giocoforza condurre un’indagine epidemiologica. Abbiamo quindi individuato una corte di 24.000 calciatori, che avevano giocato in Italia e, fra questi, abbiamo individuato le morti sospette cercando di capire quali potessero esserne le cause. Il risultato più significativo di questo studio fu l’eccesso di mortalità dei calciatori, rispetto alla popolazione generale, causata dalla Sclerosi Laterale Amiotrofica. Il dato epidemiologico, che ha poi trovato conferme negli aggiornamenti effettuati anche in seguito, doveva essere anche spiegato. Ecco perché fu autorizzata la pubblicazione dei risultati di questa indagine su una rivista scientifica autorevole per far sì che la comunità scientifica potesse occuparsi del problema. Che si è aggravato quando abbiamo condotto un’analoga ricerca epidemiologica su altre categorie di sportivi come i ciclisti, i cestisti e i rugbisti e fra questi non è risultata nessuna vittima di SLA. So che la comunità scientifica se ne sta occupando e che i risultati sulla ricerca stanno dando buoni frutti, resta comunque da capire e spiegare l’eccessiva mortalità tra i calciatori”.
Si è mai sentito solo mentre conduceva la sua inchiesta?
“No, devo dire che abbiamo ricevuto grandi collaborazioni, in particolare sul piano scientifico. Abbiamo potuto contare, e stiamo ancora contando, sull’opera di esperti della materia che hanno sostenuto lo studio epidemiologico prima all’Istituto Superiore di Sanità poi all’Università di Torino e poi apporti di altri medici ancora. In realtà abbiamo ricevuto un grande supporto. Ci deve essere una maggiore collaborazione da parte del mondo dello sport che, invece, teme una criminalizzazione del calcio. Non bisogna criminalizzare il movimento calcistico, ma nemmeno sottovalutare il problema”.
Quando Piermario Morosini è morto sul campo, che cosa ha provato? Ha pensato alla sua inchiesta oppure, secondo lei, è stata solo sfortuna?
“Naturalmente, per pronunciarsi in modo adeguato bisognerebbe conoscere le carte di questa vicenda, senza le quali potrebbero esserci giudizi né razionali né fondati. I casi di questa natura devono essere sempre oggetto di una scrupolosa indagine volta proprio a capirne le cause”.