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Una rivincita della classe, uno schiaffo al tennis corri e tira, tutto muscoli e poco raziocinio. E ancora di più una storia molto italiana e tanto sudista, giocata fra Taranto, la sua città natale, e Palermo, quella, diciamo così, d’adozione. E’ la favola di Roberta Vinci, 28 anni compiuti a febbraio, prima azzurra della storia a vincere tre tornei nella stessa stagione, per giunta nel giro di soli tre mesi (Budapest dopo Barcellona e ‘s Hertogenbosch) e con ancora una larga parte di annata per migliorare il primato.
Roberta, quando ha realizzato di avere stabilito un primato?
«L’ho appreso dalla stampa. Non ne sapevo niente ed è qualcosa che mi inorgoglisce. Già dopo la vittoria in Olanda mi avevano detto che ero stata la prima italiana a vincere un torneo sull’erba. Il piacere è doppio».
A proposito… Fino a pochi anni fa era considerata solo una doppista.
«Sì e un po’ mi dava fastidio. Un sacco di persone mi dicevano: “Giochi bene a rete quindi devi puntare sul doppio”. Ma una ragazzina quando comincia sogna sempre di diventare qualcuno in singolare. Ed oggi sono felice di averlo dimostrato».
Come comincia la storia di Roberta Vinci?
«A 5 anni quando mio padre Angelo mi ha messo la prima racchetta in mano. E poi si è sviluppata piano piano avendo alle spalle due genitori fantastici che mi seguono da lontano senza mai interferire».
La guida Wta dice residente a Palermo. Spieghiamo?
«Ho lasciato Taranto molto presto, anche se resta la mia città e ci sono affezionata più che alle altre; mi sono allenata per anni al Parioli, a Roma, poi ho trovato in Palermo un posto ideale e anche l’allenatore, Francesco Cinà».
Chi gioca oggi come la Vinci nel circuito? Puntando su tecnica, colpi liftati, serve & volley.
«Fra le prime 20 direi nessuna… Forse la Martinez Sanchez, vincitrice l’anno scorso a Roma. Se devo dire un nome dico Brianti, almeno per l’uso del back. In un tennis sempre più fisico sono emersa continuando a credere nelle mie doti».
Numero 23 del mondo, migliore classifica di sempre. Dove è nata la nuova Vinci?
«E’ stato decisivo l’aspetto mentale. Forse la prima vittoria a Barcellona mi ha sbloccato. Si vince anche soffrendo, con la costanza».