LAZIO. Crack Cirio, 9 anni a Sergio Cragnotti

(Foto getty Images)

LEGGO – Condanne pesanti per uno dei più grandi crac della storia industriale italiana: 1.125 miliardi. La brutta storia di Cirio arriva a un punto, non finale, ma sicuramente significativo. A tarda sera è arrivata la sentenza di primo grado: l’ex presidente del gruppo Sergio Cragnotti è stato condannato a nove anni di reclusione, quattro anni sono andati al potentissimo ex presidente della Banca di Roma, Cesare Geronzi. Assolti, invece, l’ex ad della Popolare di Lodi, Giampiero Fiorani e Flora Pizzichemi, moglie di Cragnotti, mentre il resto della sua famiglia esce male dalla sentenza: 4 e 3 anni ai figli Andrea e Massimo, 3 anche alla figlia Elisabetta, 4 anni e mezzo al genero Filippo Fucile.
Il processo dai numeri imponenti (35 gli imputati) aveva al centro il fallimento del colosso alimentare sancito nel 2003, che causò il default di obbligazioni emesse tra il 2000 e il 2002 per una cifra stratosferica: 1,125 miliardi di euro. A rimetterci sono stati soprattutto migliaia di piccoli risparmiatori. Secondo le associazioni dei consumatori, almeno 35mila persone videro volatizzati i propri risparmi per il fallimento del gruppo. Cirio decise di emettere i bond in seguito a una forsennata campagna di acquisizioni (fra cui la Del Monte e la squadra di calcio Lazio). Operazioni costate oltre 640 milioni, un debito superiore al miliardo di euro, di cui l’85% verso le banche.
I pm Rodolfo Sabelli, Gustavo De Marinis e Paola Filippi avevano chiesto pene più alte: 15 anni per Cragnotti, 8 per Geronzi e 6 a Fiorani. L’accusa, a vario titolo, è di falso e bancarotta in tutte le sue declinazioni: fraudolenta, preferenziale, distrattiva.
Geronzi reagisce e annuncia il ricorso in appello: «In quella sede si riconoscerà la mia non colpevolezza. Io sono sereno». Più duro il commento dell’avvocato del banchiere, Severino: «Si mette in crisi il sistema delle banche». Non si dispera l’avvocato di Sergio Cragnotti: «Rispetto alle richieste della Procura c’è uno sconto congruo, in appello si vedrà», dice l’avvocato Massimo Krogh

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