VILLAS BOAS. «Ecco il mio Porto nato per vincere»

(Getty Images)

Non è stata un conferen­za stampa, ma una lezione di filoso­fia. E a qualcuno saranno fischiate le orecchie, dalle parti di Madrid. Per­ché ad André Villas Boas, il tecnico che molti vorrebbero vedere seduto la prossima stagione su un’altra pan­china ( Roma e Chelsea non mollate!), quel paragone con José Mourinho e il Porto che vinse la Uefa nel 2003 comin­cia a stancarlo.

Stasera a Dubli­no, in uno stadio che sembra una grande ciambella schiacciata su un lato, i Dragoes possono conquistare l’Europa League e lui aggiungere nel suo curriculum il primo trionfo inter­nazionale. Come intende, allora, il fo­otball, Villas Boas: « Non è solo una battaglia di tattica e di tecnica. I gio­catori devono essere lasciati liberi di mettere a disposizione della squadra il loro talento» . E aggiunge: «Il calcio non è un “one man show”…» . Chi vuol capire, capisca. E come avvenne il di­vorzio con lo Special One? André era il tattico che forniva a Mou le infor­mazioni sulle squadre che Porto, Chelsea e Inter avrebbero affrontato.

«Semplicissimo. Volevo vedere se ero capace di guidare da solo una squa­dra. Misurare le mie ambizioni, credo sia umano… E così accettai l’offerta dell’Academica Coimbra, che era in una situazione disperata di classifi­ca » . E fu salvezza.[…]

FUTURO –Intanto stasera c’è il Braga da affrontare e – possibilmente – bat­tere. Non sarà semplice, perché per Villas Boas, il Porto ha« la responsabilità e l’obbligo »di vincere l’Europa League. E se non accadesse? L’esito della finale potrebbe interrompere il suo rapporto con il club? Lo Special Two non ha dubbi:«Il Porto è sod­disfatto del mio lavoro e io sono con­tento di come la società mi sta trat­tando. Perché, dunque, cambiare?». Il solito ritornello, scontato, alla vigilia un un appuntamento così importante.Una cosa è certa, il Porto è arrivato all’atto conclusivo da favorito. Una condizione che alla lunga potrebbe pesare sui giocatori. Villas Boas pre­ferisce sorvolare: .«Sono cose che non mi interessano. E’ chiaro che una so­cietà come le nostra sia obbligata a vincere dei tro­fei. E’ una pe­sante responsa­bilità per tutto il nostro am­biente. Ma sia­mo convinti del­la nostra forza, come abbiamo dimostrato in tutte le gare che abbiamo giocato. Ab­biamo avuto poco tempo per prepara­re questo match. Ma siamo ormai abi­tuati a giocare ogni tre giorni, come è accaduto durante tutta questa avven­tura europea. Abbiamo studiato bene il nostro avversario, ma la cosa fonda­mentale è restare fedeli alle nostra identità» .

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